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Cattolici cupi e sessuofobi
in risposta ad Ariel S. Levi di Gualdo
di S.P.

       A seguito delle reazioni alle dichiarazioni di padre Giovanni Cavalcoli contenute nell’intervista dallo stesso concessa ad Andrea Tornielli, reazioni subito classificate “polemiche”, il reverendo Ariel assume la difesa d’ufficio del teologo domenicano. Interessante è notare che Ariel dice di non rispondere nello specifico alle accuse, infatti si limiterà a dipingere coloro che si sono macchiati di cotanto oltraggio con raffigurazioni colorite di vivaci epiteti: cattolici cupi, rigidi legalisti, luterani, calvinisti, manichei, pelagiani, farisei, sadducei….....
       Se vi chiedete dove è finita la carità del prete Ariel, sappiate che quella c’è, ma è riservata a prostitute, divorziati, conviventi, aperti praticanti del sesso e del libero amore…, insomma a quella povera gente tanto bistrattata da quei cupi cattolici, di cui sopra.

                                                                                                                              S.P.
Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente nostri.

19 ottobre 2015
Isola di Patmos

CATTOLICI E SESSUOFOBIA: «LA VERGINITÀ DEGLI ERETICI È PIÙ IMPURA DELL’ADULTERIO»

di Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

       Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto 1, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

 

(1)Non so come il moderno reverendo Ariel Stefano Levi di Gualdo mi giudicherebbe se mi conoscesse o come mi giudicherà dopo aver letto queste mie osservazioni al suo articolo: cupo? molto cupo? poco cupo? o no? Comunque, per quanto possa valere una mia dichiarazione, vorrei assicurare il reverendo che non mi ritengo affatto un cattolico cupo, né tanto né poco, felicemente sposato con figli e con un’idea della sessualità normalissima, come comunemente potrebbe definirsi nel mio Meridione: manichea? Non direi proprio.
Sarei curioso di capire cosa intende il reverendo per arido legalismo e per pelagianesimo (applicato agli aridi legalisti). Stento poi a credere come si possa accostare il cupo cattolico rigido legalista al dissoluto Lutero: dovrebbero stare agli antipodi. D’altra parte è innegabile che chi ultimamente si è avvicinato a Lutero sono proprio certi cattolici moderni e aperti, tutti all’opposto dei cupi e legalisti, dei quali parla il reverendo.

E per concludere, Ariel nota che certo rigorismo (quello dei cattolici cupi e legalisti) è riconducibile al rigorismo calvinista, e impropriamente lo classifica rigorismo morale cattolico.

       Poco dopo l’uscita dell’intervista a Giovanni Cavalcolifatta dal vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli [cf. QUI] si è scatenata una ridda di polemiche seguite da pesanti accuse rivolte al teologo domenicano; accuse alle quali io non rispondo nello specifico, perché lo ha fatto in modo magistrale il diretto interessato, che non ha bisogno delle mie “difese d’ufficio” [cf. QUI].

 

Ma procediamo con ordine.
A seguito delle reazioni alle dichiarazioni di padre Giovanni Cavalcoli contenute nell’intervista dallo stesso concessa ad Andrea Tornielli, reazioni subito classificate “polemiche”, il reverendo Ariel assume la difesa d’ufficio del teologo domenicano. Interessante è notare che Ariel dice di non rispondere nello specifico alle accuse, infatti si limiterà a dipingere coloro che si sono macchiati di cotanto oltraggio con raffigurazioni colorite di vivaci epiteti: cattolici cupi, rigidi legalisti, luterani, calvinisti, manichei, pelagiani, farisei, sadducei….....
Se vi chiedete dove è finita la carità del prete Ariel, sappiate che quella c’è, ma è riservata a prostitute, divorziati, conviventi, aperti praticanti del sesso e del libero amore…, insomma a quella povera gente tanto bistrattata da quei cupi cattolici, di cui sopra.

       Devo fare però un’amara constatazione e ribadire un concetto affermato negli ultimi mesi: prendendo a pretesto il Sinodo sulla famiglia un’armata di farisei seguita a mutare il Sesto comandamento nel peccato dei peccati, come se in esso risiedesse l’intero mistero del male. E pur di supportare le loro teorie peregrine, sono pronti “politicamente” a tutto, persino ad elevare i Vescovi africani come vessillo in difesa dell’ortodossia della famiglia [cf. QUI, QUI, ecc.]. Cosa questa che rende davvero patetici certi “politicanti” che estrapolano ciò che solo a loro interessa fingendo di non sapere che diversi di questi paladini della difesa dei valori non negoziabili, della famiglia e del sacro matrimonio; questi difensori della vera dottrina che hanno tuonato contro l’adulterio e il concubinato, sono più volte risultati padri di diversi figli sparsi per il mondo, cosa che la Santa Sede sa da sempre; e nello specifico lo sanno quelli della Congregazione de propaganda fide, il cui problema principale, quando si tratta di eleggere un nuovo vescovo in qualche diocesi del Continente Nero, è di riuscire a selezionare un candidato che non abbia concubine e figli sparsi in giro, impresa tutt’altro che facile.

 

(2) Pensate che quei fanatici, non per motivazioni oggettive, ma «prendendo a pretesto il Sinodo sulla famiglia», da brutti farisei quali sono, continuano a «mutare il Sesto comandamento nel peccato dei peccati, come se in esso risiedesse l’intero mistero del male»! E pensate di che mostruosità son capaci di macchiarsi quei fanatici: «pur di supportare le loro teorie peregrine, sono pronti “politicamente” a tutto, persino ad elevare i Vescovi africani come vessillo in difesa dell’ortodossia della famiglia»!

Ma cosa ha Ariel contro i Vescovi africani? Ad osservare i due link fatti dallo stesso Ariel, non mi pare che i Vescovi africani dicano cose così riprovevoli da dover suscitare lo sdegno e la riprovazione, certo dicono cose vecchie (don Ariel le direbbe sorpassate?), cose addirittura da anteconcilio!… idee imperdonabili! «Cosa questa che rende davvero patetici certi “politicanti” [= quegli odiabili Vescovi africani] (…) fingendo di non sapere che diversi di questi paladini della difesa dei valori non negoziabili, della famiglia e del sacro matrimonio [ovverosia sempre quei detestabili Vescovi africani], che hanno tuonato contro l’adulterio e il concubinato [come si son potuti permettere?!], sono più volte risultati padri di diversi figli sparsi per il mondo»!!!
Certo che Ariel è bene informato! E non solo lui, ma anche il Vaticano, «la Santa Sede lo sa da sempre; e nello specifico lo sanno quelli della Congregazione de propaganda fide, il cui problema principale, quando si tratta di eleggere un nuovo vescovo in qualche diocesi del Continente Nero, è di riuscire a selezionare un candidato che non abbia concubine e figli sparsi in giro, impresa tutt’altro che facile»!
Mi chiedo se è tutto vero, e io non posso dubitare di quel che dice Ariel; come mai nessuno ha preso o prende un qualche provvedimento? sono d’accordo?
E ancora: se Ariel è tanto comprensivo coi concubini, come mai è così rigido coi Vescovi africani?

 

     A incentivare la perversione del sesso inteso come peccato dei peccati, ch’è in sé cosa molto più peccaminosa dell’adulterio o delle convivenze dei divorziati risposati, sono dei laici senza umanità cristiana sostenuti da qualche teologo specializzato a tirare il sasso, ritirare la mano e istigare personaggi alquanto digiuni di teologia ― e per questo facilmente manipolabili ― ad “armarsi e partire”. E questo, nel mio linguaggio, si chiama viltà, tipica a volte dei presbìteri che hanno trascorso la propria vita a speculare sulle nuvole dei massimi sistemi dell’intelletto soggettivo, sino a sprofondare nella autentica madre di tutte le eresie: sostituire l’ “io” del proprio pensiero pensato a “Dio”, che non è più, attraverso il Mistero dell’Incarnazione del Verbo, l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo, ma il pretesto sul quale edificare il proprio omocentrismo intellettuale. E fu proprio Giovanni Cavalcoli a donarci sulle colonne di questa rivista telematica uno straordinario articolo dedicato alla Apologia della superbia [Cf. QUI], quel peccato da me indicato più volte come regina e diabolica auriga dei Sette peccati capitali; un peccato — la superbia — che nella lista occupa non a caso il primo posto e che come tale è da temere più della lussuria, che non è affatto né la regina né l’auriga dei Sette peccati capitali, per questo è collocata al quarto posto nella cronologia del Catechismo della Chiesa Cattolica.

 

(3) Ed ecco, dopo tante rivelazioni, Ariel torna ad accusare che ad «incentivare la perversione del sesso inteso come peccato dei peccati (…) sono dei laici senza umanità cristiana».

A questo punto non capiamo più niente: prima sembrava che Ariel accusasse i prolifici preti e Vescovi africani che spargono figli in giro e ora accusa i laici di mancanza di umanità perché sono contro la perversione del sesso! Insomma lui, quando accusa il clero africano ha umanità cristiana, mentre quando sono i laici ad accusare un concubino (non un prete, ma un divorziato risposato!), questi non hanno umanità cristiana? E, una volta per tutte: chi glielo ha detto che coloro che si pongono contro il concubinato considerano la perversione del sesso come il peccato dei peccati? In base a cosa o a quale fatto si permette di affibbiare pensieri al prossimo? Forse anch’io sarò digiuno di teologia, ma mi vien voglia di pensare che la teologia di cui si è abbuffato Ariel non sia quella cattolica, ma quella modernista e vaticanosecondista che è pronta a giustificare e scusare tutto e tutti, a meno che non si senta un pur lontano odore di tradizionalismo e di morale anteconcilio.
Voglio infine assicurare Ariel che nel campo tradizionalista molto difficilmente potrà trovare dei manipolabili, basti pensare che, pur di rimanere fedeli alla Fede Cattolica, alla Chiesa di sempre, alla Tradizione, sono stati capaci di resistere al potere della chiesa vaticanosecondista e di accettare umiliazioni di ogni genere (compresi giudizi temerari come i suoi) che i conciliari profondono abbondantemente con grande carità.

Bello è il quadro dei presbiteri che non la pensano come Ariel: vili, «hanno trascorso la propria vita a speculare sulle nuvole dei massimi sistemi dell’intelletto soggettivo» e hanno sostituito «l’ “io” del proprio pensiero pensato a “Dio”», quel Dio che per loro è diventato «il pretesto sul quale edificare il proprio omocentrismo intellettuale». Penso che Ariel ha dimenticato di specificare che si tratta di un omocentrismo rigorosamente antisessuale, cupo e legalista, altrimenti potrebbe rischiare la contraddizione.

Ariel passa poi ad elogiare Giovanni Cavalcoli [così lo chiama, da par suo, Ariel, non aggiunge "padre” o uno straccio di titolo…] per il suo lavoro sulla superbia, «regina e diabolica auriga dei Sette peccati capitali», un peccato da temere più della lussuria, la quale è «collocata al quarto posto nella cronologia del Catechismo della Chiesa Cattolica».
Strano, ma parrebbe che per il solo fatto di non essere il peccato sessuale
“re e diabolico auriga dei sette peccati capitali" e per il fatto di occupare soltanto il quarto posto (e non il primo), sembrerebbe che Ariel lo consideri quasi quasi… un non-peccato, e che tale deve considerarlo chi voglia essere ritenuto bravo e buono, prete o laico che sia.

     Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

 

(4) Ed eccoci ad un altro colorito epiteto per certi cattolici cupi: sono simili ai sadducei e ai farisei! Parola di Ariel! Non occorre dimostrazione, anzi a tale condizione (cioè a quella di non dover dare dimostrazione alcuna) Ariel si può permettere di definirli «cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea», «fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo».
Siccome personalmente ritengo di far parte di quei cattolici, tanto bistrattati dal caritatevole Ariel, vorrei assicurarlo che non siamo cupi (personalmente sono abbastanza aperto), che non siamo simili ai sadducei o ai farisei, che crediamo Gesù Cristo morto e risorto, che sulla sessualità non abbiamo idee manichee, che non siamo fissi su concetti di arido legalismo, che non siamo intrisi di pelagianesimo e che infine crediamo che tale sia la generalità di quei cattolici tanto amorevolmente bastonati da Ariel.
Quanto poi al concetto paolino sulla predestinazione assicuriamo Ariel che non abbiamo niente in comune con Lutero o con Calvino: non sono amici nostri né siamo di quell’ecumenismo vaticanosecondista tanto caro ad Ariel; in altri termini Lutero e Calvino sono amici suoi, non nostri: il rigorismo calvinista non può essere nostro!

      Se dinanzi ad articolate tematiche pastorali con implicazioni teologiche e dottrinarie molto complesse certi personaggi dovrebbero tacere, non altro per quel pudore derivante da una mancanza oggettiva di profonda conoscenza; qualche teologo di riferimento che dietro le quinte li carica dovrebbe avere maggior pudore e non aprire proprio bocca, a meno che non sia in grado di dimostrare di avere fatto veramente il prete per tutta la vita. E per prete non s’intende essersi diviso tra aule accademiche, sale di conferenza e biblioteche, perché pastoralmente parlando fare il prete non vuol dire avere celebrato una Santa Messa al giorno, ma avere trascorso molto tempo dentro i confessionali, avere preso su di sé i dolori e i disagi di singoli e d’intere famiglie, avere frequentato i reparti di oncologia degli ospedali, essere entrati e usciti dalle carceri dove dei giovani appena ventenni, per una “bravata” o peggio per una “follia”, si sono presi una condanna a vent’anni per omicidio; e via dicendo. E se nulla di tutto questo e molto altro ancora si è fatto, oltre a non avere sviluppato l’elemento dell’umanità che è la base fondante del sacerdozio cattolico, non si sarà sviluppata alcuna dimensione pastorale, quindi si finirà a parlare in termini non pastorali ma eminentemente politici e sociologici ad un convegno avente come ospite d’onore il Cardinale Velasio de Paolis, che fin quando non ha compiuto ottant’anni non ha mai detto né sì né no [cf. QUI]. Oltre ad avere mostrato in tutto e per tutto la sua glaciale carenza di umanità quando incaricato dalla Santa Sede per la cura dei Legionari di Cristo allo sbando totale, dopo la scoperta della doppia vita del loro sedicente fondatore [cf. QUI], anziché darsi da fare anima e corpo per la salvezza di decine e decine di giovani, ha agito con la fredda insensibilità di un ragioniere di provincia, nascondendosi dietro al pretestuoso appiglio che lui non poteva fare niente, essendo un visitatore e non un amministratore apostolico. Ora io dico: ve lo immaginate San Filippo Neri che afferma: «Io non posso fare nulla per i giovani romani abbandonati allo sbando totale, perché sono solo un povero prete e non il Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma»? Forse per questo, quando il Sommo Pontefice tentò di farlo cardinale, il Padre Filippo risposte ― memore forse dei de Paolis di ieri e di oggi ― «No, Santità: grazie. Preferisco il Paradiso!». Questo per dire che un buon vescovo, trovandosi dinanzi alla tragedia di numerose vite di giovani in pericolo ai quali il mondo è caduto addosso perché ciò nel quale credevano con sincera buona fede se lo sono visto crollare dalla sera alla mattina, non si nasconde dietro al dito del clerical-burocratichese, ma esercita il proprio ministero di pastore in cura d’anime, senza lavarsi la coscienza a basso mercato dietro a futili cavilli canonici, ma andando però di corsa a parlare di pastorale quando invece si tratta di argomenti legati al sesso e alla sessualità umana. E se questi sono i grandi referenti morali di altrettanti duri e puri moralisti, mi si conceda di esprimere solamente: Kyrie eleison !

 

(5) A detta di Ariel, noi dovremmo tacere, se non altro perché ignoranti e perché manchiamo di pudore… Non sappiamo a quale nostro teologo di riferimento Ariel si riferisca, comunque Ariel ce lo descrive: mancante di pudore e loquace, «a meno che non sia in grado di dimostrare di avere fatto veramente il prete per tutta la vita»: in pratica il nostro prete di riferimento, secondo Ariel, potrà parlare soltanto dopo morto, dopo tutta una vita spesa a fare il prete; chi può parlare prima è Ariel, l’eccezione. Ma attenzione, bisogna aver fatto il prete, «pastoralmente parlando», cioè non avendo celebrato una Santa Messa al giorno, ma confessando [però come lo fanno i vaticanosecondisti, viso a viso, comodamente seduti, magari con qualche carezza… d’incoraggiamento, soprattutto se si ha davanti una bella ragazza: confessare alla P. Pio o alla Curato d’Ars sarebbe da rigorista, umiliante, quasi… un delitto!], prendendo «su di sé i dolori e i disagi di singoli e d’intere famiglie», avendo «frequentato i reparti di oncologia degli ospedali», essendo «entrati e usciti dalle carceri dove dei giovani appena ventenni, per una “bravata” o peggio per una “follia”, si sono presi una condanna a vent’anni per omicidio; e via dicendo».
Quanto sono ingiusti quei giudici che, per una “bravata” o peggio per una “follia”, per un “omicidio”, condannano quei poveri giovani [
poveri martiri!] a vent’anni! Mi viene il sospetto che quei rigorosi giudici senza cuore appartengano a quella categoria di cattolici di cui sopra…
E poi quei preti che non frequentano gli ospedali, che non visitano quei poveri carcerati…, che preti sono? Non hanno «sviluppato l’elemento dell’umanità che è la base fondante del sacerdozio cattolico». Quanto siamo rimasti indietro noi!
Pensiamo ancora che la base fondante del Sacerdozio cattolico sia Cristo, che prima del corpo curava l’anima!...
Ariel poi attacca molto amorevolmente, con somma carità cristiana,  il Card. Velasio de Paolis, e, a giustificazione del suo attacco mette un link al “Convegno della Fondazione Lepanto: la pastorale al servizio della dottrina”. Presumo che ad Ariel non sia piaciuto l’intervento del Cardinale in tale convegno (e penso anche quello degli altri partecipanti). Ho quindi usato il link e letto gl’interventi: non ho trovato nulla che possa giustificare il feroce attacco di Ariel. Per togliere ogni dubbio al mio lettore, riporto qui di seguito quanto si riferisce al Cardinale:

«Presenza d’eccezione quella del card. Velasio De Paolis, che ha ribadito come l’importante per la Chiesa sia «sempre risalire alla fonte: Nostro Signore Gesù Cristo». Il cardinale ha ricordato che «Papa Francesco fin dall’inizio del Sinodo ha affermato che la dottrina non verrà mai toccata e che non è in messa gioco», però rimane il problema dei “matrimoni” dei divorziati risposati «che sono persone che vanno aiutate». «Si tratta –ha osservato il prelato– di trovare una strada che sia congrua con la dottrina stessa. La verità è verità». La preoccupazione del cardinale è tutta per la crisi dell’istituto matrimoniale. È più grave di quanto sembra, dobbiamo renderci conto che «se continuiamo così in futuro non avremo neanche più dei matrimoni».
La domanda che si pone è come far fronte a questa triste situazione. «Dobbiamo ingegnarci per conformarci al progetto di Dio», è la risposta del prelato, quindi
non si può immaginare una pastorale contro la dottrina. «Una prassi pastorale che va contro la dottrina è di una illogicità spaventosa. Non è cristiana» ha ribadito il cardinale. Da quì la necessità di riaffermare la verità. «Se noi non torniamo ad una discussione che parte dalle certezze di fede non possiamo andare avanti» perché «oggi parliamo tanto di compassione, di amore e di misericordia. Ma senza verità, siamo fuoristrada». Verità che include anche il modo di esprimersi, il linguaggio da usare. «Le parole oggi non significano più niente», si parla «in modo sconclusionato», si fanno «affermazioni che negano, con una battuta, cose conclamate fino ad oggi», mentre abbiamo bisogno di contenuti per ritrovare la realtà vera». La soluzione per il cardinale non può essere che una sola. «I peccatori non vanno respinti, ma va trovata la strada giusta. La via dell’amore nella verità». Perché, ha precisato, «prima ancora della misericordia, c’è l’amore». E «l’amore può esigere sia la misericordia, sia la severità».»

Per aggravare la situazione del Cardinale Ariel ricorre al fattaccio dei Legionari di Cristo: il Cardinale non ha fatto niente per salvare «decine e decine di giovani», nascondendosi dietro un pretesto. Perché? cosa, secondo Ariel, avrebbe dovuto fare? Chiudere gli occhi sulla doppia vita del fondatore? o cos’altro? È inutile che Ariel tira in ballo San Filippo Neri, se parla del Cardinale, lasci stare San Filippo e parli del Cardinale: cosa non ha fatto? cosa avrebbe dovuto fare? E ammesso per ipotesi che il Cardinale abbia sbagliato in quella occasione, cosa c’entra quello sbaglio con la questione di cui si discute? Cosa ha detto il Cardinale a noi deboli, ignoranti e manipolabili per incentivarci nella perversione del sesso come peccato dei peccati?
Interessante è poi l’esplicitazione dell’accusa a proposito dei Legionari di Cristo: «un buon vescovo (…) non si nasconde dietro al dito del clerical-burocratichese, ma esercita il proprio ministero di pastore in cura d’anime (…) andando però di corsa a parlare di pastorale quando invece si tratta di argomenti legati al sesso e alla sessualità umana». Insomma di che lo accusa? Di non aver parlato di sesso e di sessualità umana? Evidentemente il cardinale è più pudico di Ariel! non gli vien facile parlare di certi argomenti. Penso che di sicuro non si è lavata «la coscienza a basso mercato dietro a futili cavilli canonici». Ariel dovrebbe dimostrarlo, ma non lo fa: accusa e basta.

Ariel evidentemente ha un concetto tutto suo della moralità, della pastorale e dei duri e puri moralisti che hanno la grave colpa di non pensarla come lui o di pensarla addirittura come prima del concilio… Lo dica Kyrie, eleison: dal profondo del cuore gli auguriamo che Dio lo esaudisca.

      Io che vivo invece la dimensione pastorale, pur dedicandomi agli approfondimenti ed alle speculazioni teologiche, non accetto lezioni di pastorale ragionieristica da certi personaggi che sono, ripeto, delle figure eminentemente politiche; come non accetto certi teatrini inscenati dai presbìteri di pura accademia che al contrario di me non vanno a guardare in faccia una giovane ammalata di tumore in fase terminale, ad amministrarle l’unzione degli infermi, a celebrare la Santa Messa a casa sua perché non può uscire dalle mura domestiche al cui interno sta attendendo la morte da un giorno all’altro, ed alla quale non è possibile offrire come consolazione qualche lezioncina di buona epistemologia in alternativa agli anti-dolorifici a base di morfina solfato. Per non parlare poi del fatto che questa povera e giovane ammalata ha la “colpa immane” di essere sposata con un divorziato. Però, vista la gravità irreversibile della malattia, non potendo avere peccaminosissimi rapporti sessuali, lei ed il marito divorziato risposato, possono ritenersi più o meno a posto a livello morale? Ciò che infatti solo conta in modo imprescindibile e “assolutamente” inderogabile per certi legalisti è che non ci sia di mezzo il peccato dei peccati: il sesso. Anche se, a livello di morale epistemica non è stato ancora chiarito se il peccato è rappresentato dal membro che penetra nella vagina oppure se è da considerare peccato solo l’orgasmo, perché in questo secondo caso potremmo stabilire che la penetrazione genitale è concessa, a patto però che non vi sia eiaculazione, ma soprattutto che non vi sia da parte di entrambi alcun piacere, perché da certi moralisti resi immorali dalla loro insita disumanità, c’è da aspettarsi questo e molto altro ancora, capaci come sono a creare da una parte degli onirici manuali impossibili di etica sessuale, dall’altra di negare il mistero stesso della creazione dell’uomo, perché in fondo sono sempre loro, sempre gli stessi incorreggibili:

Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! [cf. Lc. 11,46]

 

(6) «Io che vivo invece la dimensione pastorale», molto umilmente non accetto lezioni da nessuno, né da ragionieri [come il Cardinale] né da presbiteri di pura accademia. Alla faccia dell’umiltà! Non gli ha insegnato niente San Filippo Neri da lui stesso citato poco sopra? È sempre pronto all’accusa (o sarebbe più esatto chiamarla calunnia?). Come può asserire che gli altri presbiteri «non vanno a guardare in faccia una giovane ammalata di tumore in fase terminale, ad amministrarle l’unzione degli infermi»? personalmente credo che quei presbiteri corrano anche se si tratta di una vecchia ammalata, inoltre io potrei citargli almeno due casi in cui due presbiteri si sono fatti centinaia di chilometri, a proprie spese, per amministrare i sacramenti (estrema unzione compresa) a un vecchio moribondo, mentre un altro che la pensava come Ariel declinava l’invito (“Si rivolga ad un altro”).
«Per non parlare poi del fatto che questa povera e giovane ammalata ha la “colpa immane” di essere sposata con un divorziato»: caro Ariel, c’è poco da fare il sarcastico e dica piuttosto:
l’ha convertita quella povera giovane convivente o l’ha lasciata nel suo peccato assicurandola che, morta, sarebbe tornata alla casa del Padre? La sua dimensione pastorale comprende anche la conversione? quella che s’impegna a fuggire le occasioni prossime di peccato? 
«Non potendo avere peccaminosissimi rapporti sessuali, lei ed il marito divorziato risposato [più esattamente si chiama concubino], possono ritenersi più o meno a posto a livello morale?» È una domanda? Se lo chiede a me, non ho paura di risponderle  “No” e di farle presente che esiste anche il peccato di pensiero, oltre a quello di scandalo pubblico:
il peccato di pensiero è sotto gli occhi di Dio, quello di scandalo pubblico anche sotto gli occhi di tutti. Che bell’esempio avrebbe dato quella giovane se avesse allontanato il suo concubino! E questo lo diciamo non perché il sesso sia il peccato dei peccati, ma perché è peccato mortale, con il quale ci si danna!
«Anche se, a livello di morale epistemica…» Non pensavo che un prete potesse essere tanto volgare, tanto esplicito, in un articolo pubblico. La Madonna de La Salette parlando di preti li chiama cloache d’impurità, qui mi pare di sentirne il puzzo. Povera Chiesa in mano a preti simili! E dicendo questo, assicuriamo Ariel che non siamo moralisti… immorali,
che chi ha creato onirici manuali è un tale, al quale quelli come Ariel amano ricorrere per risolvere tanti problemi (anche sessuali) e cercarne cause remote, e infine che preghiamo Dio affinché ci mantenga incorregibili e non ci convertiamo a certo psicologismo tanto di moda presso i vaticanosecondisti.


Ma Gesù disse anche: Guai all’uomo, a causa del quale viene lo scandalo!... (Mt 18,7) Noi non siamo dottori (come Ariel), siamo ignoranti manipolabili, e tra una preghiera e l’altra non ci dedichiamo agli approfondimenti ed alle speculazioni teologiche, come fa Ariel, o almeno non lo facciamo sui testi vaticanosecondisti.

      E proprio in queste settimane dell’anno liturgico abbiamo letto nella feria il Vangelo di San Luca, dove sono riportate le diatribe e le critiche di Gesù con i farisei; se leggiamo bene quelle righe sembra di ritrovarci di fronte alla disumanità di certi personaggi olezzanti legalismi, dinanzi alle motivazioni dei quali torna a mente la saggia massima di un grande Padre della Chiesa, San Gregorio di Nissa, il quale affermava che «La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio», ed è un’impurità che tramite la via di rigurgiti pelagiani porta infine all’ateismo clericale, all’ateismo della bestia religiosa, un ateismo inteso come negazione del mistero del Verbo di Dio Incarnato distrutto nel peggiore dei modi: attraverso la sua riduzione ad un fenomeno meramente speculativo e legalistico.

 

(7) A proposito di San Gregorio di Nissa non capisco a chi Ariel attribuisce la qualifica di eretico: siamo noi gli eretici o quei buonisti che la pensano come Ariel? E poi che vuol dire Ariel con questa citazione? Avanti con l’adulterio perché la verginità degli eretici è più grave? Noi non vogliamo né l’adulterio né gli adulteri. Lasciamo altresì l’ateismo clericale della bestia religiosa ad Ariel: pare che lui sappia cosa sia; noi, poveri ignoranti, non vogliamo saperne. Dica pure quel che vuole, ci offenda come meglio crede, noi ci teniamo la nostra Religione e la Nostra Chiesa, quella fondata da Nostro Signore Gesù Cristo e che non è nata col concilio vaticano II, ma duemila anni fa.

      Con uno zelo da fare invidia al codice della strada della Repubblica Federale Tedesca, chi ragiona in questi termini afferma che i divorziati risposati devono vivere come fratello e sorella, in perfetta castità; perché naturalmente – va da sé – l’intero mistero del male risiede, come sin qui spiegato, nella sessualità. Chi si lascia andare ad affermazioni così decise e così tragicamente leggere perde anzitutto di vista il fatto che la castità non è una stoica rinuncia sostenibile con le sole forze della volontà umana — e ciò penso proprio di poterlo dire per esperienza concreta diretta —, ma un dono di grazia. E chi ha studiato in modo approfondito il De natura et gratia di Sant’Agostino, che costituisce un grande dibattito contro quel Pelagio che potremmo a suo modo considerare il padre precursore dei volontaristi, sa di che cosa stiamo parlando. Pertanto, una coppia di sposi che fosse chiusa all’azione di grazia ma che applicasse con scrupolo e zelo tutte le regole morali, dai metodi naturali sino alla perfetta continenza, potrebbe risultare in tutto e per tutto peggiore di una coppia di concubini che, pur vivendo nel peccato, consapevoli anzitutto del proprio peccato, sono mossi però da un senso di apertura verso se stessi e verso il prossimo.

 

(8) Ariel è liberissimo di criticare i tedeschi che applicano bene il loro codice della strada, gli faccio osservare soltanto che lì, in Germania, le cose funzionano, mentre nei paesi di maglia larga, molto comprensivi e garantisti, tutto va a rotoli.
Prego ancora una volta Ariel a non attribuirci pensieri e idee che non abbiamo manifestato, noi diciamo invece che i divorziati non debbono risposarsi,
altro che convivere da fratello e sorella! Ovviamente non obblighiamo nessuno a non risposarsi;  diciamo semplicemente che chi vuole dirsi “cristiano” (= seguace di Gesù Cristo) deve fare quello che Cristo comanda: non obblighiamo nessuno ad essere cristiano, ma chi vuole esserlo non può agire contro gli ordini di Cristo. Ribadiamo ancora una volta che quello sessuale non lo riteniamo il peccato dei peccati, ma che è un peccato: Ariel non è autorizzato ad attribuirci idee per il suo comodo.
«Che la castità non è una stoica rinuncia sostenibile con le sole forze della volontà umana, ma un dono di grazia» lo dice S. Agostino contro quanto sosteneva Pelagio, però, da questa premessa, come può Ariel tirare la conseguenza che «una coppia di
sposi … che applicasse con scrupolo e zelo tutte le regole morali … potrebbe risultare in tutto e per tutto peggiore di una coppia di concubini»? come può sostenere che «una coppia di concubini, pur vivendo nel peccato, consapevoli del proprio peccato, sono mossi però da un senso di apertura verso se stessi e verso il prossimo»? Qual è l’apertura verso se stessi? quella di soddisfare la propria passione? Qual è l’apertura verso il prossimo? quella di soddisfare le peccaminose voglie del proprio concubino? Se fosse così dovrei concludere che Ariel non ha spiegato perché la coppia di sposi potrebbe risultare peggiore dei due concubini e ha mostrato una sua strana concezione dell’«apertura»… Al tirar della somma Ariel espone idee confuse e non conseguenziali. Non sarebbe stato più semplice dire che gli sposi non si debbono chiudere all’azione della grazia e che i concubini (non chiudendosi anch’essi all’azione della grazia) debbono cessare di essere concubini?

È proprio di fronte a queste persone che il Signore Gesù ammonisce:
In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli [cf. Mt. 21, 31-32].

 

(9) «È proprio di fronte a queste persone che il Signore Gesù ammonisce»: di fronte a quali? di fronte ai concubini o di fronte agli sposi? Dalla citazione che segue parrebbe che Ariel voglia dire «di fronte agli sposi», ma è proprio sicuro che Gesù si rivolge agli sposi? stando al passo evangelico pare proprio di no! Gesù, esponendo la parabola dei due figli, fa vedere che uno dice di volere ubbidire al padre, ma poi non lo fa, mentre l’altro che prima dice di non volere ubbidire poi ubbidisce. La conclusione della parabola non ha il senso che ci vuol far credere Ariel: i pubblicani e le meretrici, che si convertiranno ed entreranno nella Chiesa di Cristo, «andranno innanzi a voi nel regno di Dio». Quel “voi” è rivolto agli ebrei, «i pubblicani e le meretrici» rappresentano il mondo dei pagani che avrebbero creduto a Gesù (“i pubblicani e le meretrici gli han creduto”), mentre «voi, nemmeno dopo aver veduto queste cose [i tanti miracoli operati da Gesù] vi siete pentiti [dei vostri peccati, dei vostri cattivi propositi] per [passare a] credere a lui» (Mt 21, 28-32).
È evidente che Gesù non si riferisce specificatamente agli sposi, ma dato che il “voi” era contrapposto a “pubblicani e prostitute”, Ariel, dato che sta parlando di concubini, ha creduto bene approfittarne, ma
ha usato impropriamente una parabola di Gesù.

      Se noi concentriamo invece tutto quanto sulla genitalità come molti stanno facendo in questo dibattito ed anche in modi rasenti l’ossessione, si rischia di scivolare nella impura verginità degli eretici. O come scrisse Blaise Pascal nei suoi pensieri riguardo certe monache: «Caste come angeli, superbe come demoni».

 

(10) Assicuro ancora una volta Ariel che noi non soffriamo dell’ossessione sessuale e non concentriamo tutto sui genitali: queste cose le lasciamo a chi vuole vivere la vita, a chi (dopo una separazione) crede di non poter vivere in castità, senza un “compagno”, senza l’uso dei genitali: noi abbiamo ben altri pensieri.
Anche la citazione di Pascal non ci riguarda e la crediamo fuori posto, primo perché ci reputiamo peccatori, secondo perché ci sforziamo di non essere superbi.

      E per concludere chiamando certe persone e istituzioni per nome, domando: grazie a chi, certe imprese faraoniche sono state mantenute in piedi? Mi viene da pensare alla vecchia Compagnia di Gesù ed alle sue enormi e costosissime istituzioni sparse per il mondo, per seguire con i loro grandi imitatori moderni: l’Opus Dei ed i Legionari di Cristo. Ebbene, se andiamo a vedere scopriamo che nei grandi campus dell’Opus e della Legione, dinanzi alle defezioni anche minime legate alla morale sessuale si scatenano spesso fulmini e saette. Ho udito con le mie orecchie sacerdoti che facevano i corsi specialistici in bioetica al Campus dell’Opus Dei di Roma affermare che «un adolescente che si masturba è un malato da curare». Stessa solfa con i Legionari di Cristo. Ma ecco che, come per incanto, seguendo lo stile di certi vecchi gesuiti che fustigavano i deboli ma che non vedevano però le peggiori dissolutezze dei sovrani e dei potenti, sia quelli dell’Opus Dei sia i Legionari di Cristo hanno eretto intere strutture a botte di milioni e milioni di euro o di dollari usando fondi provenienti da ricche persone note per le loro pessime condotte morali, ed alle quali mai nessuno di costoro — chiudendo gli occhi sui loro tre o quattro divorzi, sulle loro molteplici amanti e su tutti i loro peggiori vizi e malvezzi — ha mai fatto una severa lezione di etica o di morale sessuale, in primis perché pecunia non olet, in secundis perché certe lezioni le riservano solo alle persone di basso reddito: ieri, oggi e, purtroppo anche domani.

 

(11) La filippica contro i Gesuiti, l’Opus Dei e i Legionari e le loro imprese faraoniche, esula dal problema che si sta trattando, è piuttosto fuori tema e non ci interessa.
Per noi un adolescente che si masturba commette peccato, e non vogliamo scusarlo accusando Gesuiti, Opus Dei e Legionari.
L’eventuale o certo mal comportamento di Gesuiti, Opus Dei e Legionari, o di qualunque altro, olet o non olet pecunia, non giustifica il peccato di nessuno, neppure quello dei poveri concubini o delle giovavani moribonde.

      E io, come uomo e come prete, dovrei forse prendere lezioni da quel certo signore che tuona contro i divorziati risposati e contro l’adulterio sbraitando: la Santa Comunione ai divorziati risposati no, giammai, no, altrimenti sarà infine scisma? Il tutto con appresso il teologo di fiducia che dinanzi a certe evidenze di oggettiva immoralità sospende però per incanto ogni genere di giudizio e battendo anche i piedi a terra afferma che «queste sono altre questioni» e che «nostro compito è parlare di teologia e non di questioni socio-politiche»? Mi si faccia dunque capire: se si osa sfiorare la vita altamente immorale di certi danarosi e munifici potenti, quelle sono faccende «socio-politiche» che «non riguardano i teologi», il dovere dei quali, ed in specie sul piano del rigore morale, è forse quello di prendere invece a legnate solo i deboli che non possono profondere sulle nostre opere e fondazioni fiumi di danaro?

 

(12) E perché no? Se quel certo signore, che sbraitando tuona contro i divorziati risposati e contro l’adulterio, dice cose giuste e buone, Ariel ne deve accettare la lezione, ma se l’esempio offerto da quel signore non è buono, Ariel lo deve denunciare e non imitare.
Ricordi Ariel che quando sarà morto, Gesù giudice non gli chiederà conto dei peccati di quel signore, dei Vescovi africani, dei presbiteri prolifici, dei Gesuiti, dell'Opus Dei, dei Legionari, dei Cattolici cupi..., ma dei peccati di Ariel.

      Piaccia o non piaccia, rimane un dato di fatto che certe istituzioni di moralisti duri e puri sono tenute in piedi con i soldi donati dalle estreme destre americane formate da soggetti che – i più morali in assoluto – sono sposati perlomeno un paio di volte e se la spassano appresso con ragazze di vent’anni più giovani di loro. O vogliamo davvero relegare nelle questioni prive di interesse teologico-pastorale, ma soprattutto d’interesse morale, il fatto che questi personaggi, tra una gozzoviglia e l’altra, si rechino poi con l’alabarda cavalleresca in mano e con la lacrima all’occhio alle Sante Messe in rito antico, per tuonare tra un oremus e l’altro contro l’adulterio, il concubinato e la Comunione ai divorziati risposati, come se tutto ciò fossero lussi che non possono essere concessi ai comuni mortali dal basso reddito, ma solo ai grandi dissoluti con i conti a nove zeri, dinanzi ai quali da una parte si prende, dall’altra non si vedono neppure quei peccati che gridano davvero vendetta al cospetto di Dio, sino ad affermare che «certe questioni non riguardano i teologi» e sentendosi ciò malgrado con la coscienza epistemica ed aletica in perfetto ordine?

 

(13) A quanto pare c’è sotto una questione di soldi e di provenienza. Forse sarebbe molto diverso se si soldi provenissero dall’estrema sinistra… Ah, chiedo scusa, dimenticavo che la sinistra (estrema o no) è sempre buona, giusta e… democratica!
Ma ripeto l’osservazione precedente: i peccati degli altri non giustificano i nostri; noi dobbiamo condannare il peccato, il male, da chiunque sia fatto. E comunque tuonare contro l’adulterio, il concubinato e la Comunione ai divorziati risposati
è un DOVERE! il non farlo sarebbe un ulteriore peccato. Ariel se ne faccia una ragione: l’adulterio, il concubinato e la Comunione ai divorziati risposati sono peccato e in quanto tali non possono essere scusati o giustificati, i soldi non c’entrano.

      Giovanni Cavalcoli, che come uomo, sacerdote, confessore e teologo ha la purezza di un angelo, dinanzi ai peccati legati al Sesto comandamento tratta da sempre i peccatori con grande umanità, senza mai lanciare verso di loro le brucianti saette dei giudizi morali impietosi. Io che provengo invece da un’altra esperienza e che nella vita precedente al sacerdozio ho percorso la dimensione affettiva e sessuale in lungo e in largo, dinanzi alla confessione di peccati molto più leggeri di quelli che a suo tempo commettevo io, rifletto sempre con gioia sulla grazia, trovandomi oggi per ineffabile mistero ad assolvere mediante il ministero della Chiesa i peccatori, sui quali profondo come devoto instrumentum Dei cristologica tenerezza e misericordia.

 

(14) Ariel giudica Giovanni Cavalcoli un santo, noi ci auguriamo che lo sia veramente (per carità cristiana e perché abbiamo bisogno di santi), noi ci limitiamo ad evidenziare eventuali errori di pensiero e di comportamento, se ne dovessimo riscontrare: è certo tuttavia che Cavalcoli è tenuto ad esprimere giudizi morali, non facendosi irretire da falsa pietà: non può nascondere e giustificare il peccato, perché il farlo non sarebbe un atto di carità, mentre egli ha il dovere di correggere e ammonire il peccatore.
Ariel sembra che si vanti quasi della sua dimensione affettiva e sessuale precedente al sacerdozio, dovrebbe invece parlarne con timore e pudore, da pentito; i suoi peccati poi non debbono costituire il metro di valutazione per i peccati altrui e, oltre alla tenerezza e misericordia, profonda anche delle ammonizioni,
perché rischio del peccato è la dannazione eterna del peccatore!

      Giunti alla grazia per vie diverse: il Padre Giovanni tramite la purezza angelica, io attraverso la conoscenza approfondita di certi peccati, viviamo entrambi il perenne incanto della grazia di Dio. Questo il motivo per il quale ogni giorno, in noi, non si rinnova certo il concetto del summum ius summa iniuria [il sommo diritto è somma ingiustizia] ma l’incanto del mistero pasquale: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» [O felice colpa che ci fece meritare un tale e così grande Redentore]. È in questo che risiede la differenza sostanziale e formale che corre tra i piccoli farisei resi spietati nel cuore per la loro chiusura omocentrica alla grazia, i pastori in cura d’anime e gli uomini di Dio resi puri di cuore nella misura in cui hanno accolto e fatto fruttare dentro di sé quei doni di grazia che li ha proiettati in un essere e divenire tutto incentrato in una dimensione cristocentrica, all’interno della quale albergano sentimenti come l’amore, la pietà e la misericordia.

 

(15) Non proclamerei tanto ai quattro venti la via della «conoscenza approfondita di certi peccati», non è una via come un’altra, è una via pericolosa che solitamente si conclude male : «chi ama il peccato, perirà in esso».
Lei sa bene che la «felix culpa» da lei citata non è quella dei suoi peccati, ma quella del peccato di Adamo, anche se lei, Ariel, ha la virtù di volgere tutto pro domo sua
Le assicuro ancora che non siamo farisei, né piccoli né grandi, d’altra parte non siamo neppure ebrei di sangue come pare sia lei (stando al suo nome e cognome), siamo ebrei solo di spirito; non siamo spietati (come lei arbitrariamente ci dipinge), non siamo sì omocentrici, ma cristocentrici: Le auguriamo poi che lei sia veramente uomo di Dio, ma con un po’ più di umiltà: lasci che siano gli altri a dargli tale bella qualifica; la misericordia la lasci a Dio, lei usi l’amore e la pietà.

Ariel S. Levi di Gualdo
19 ottobre 2015

 

S.P.
04-12-16

     

   
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